I biotecnologi industriali sfruttano i microrganismi e/o parti di essi (i.e. gli enzimi) per produrre vettori energetici (liquidi, gassosi, e solidi), risanare l’ambiente e, se fosse possibile, associare i due obiettivi. Oltre ad una conoscenza dei processi
che avvengono in natura, il biotecnologo è chiamato ad utilizzare i microrganismi e/o parti di essi per realizzare gli obiettivi definiti dall’uomo. Questi obiettivi richiedono un’approfondita conoscenza del microcosmo microbico/enzimatico e la capacità di trasferire il processo naturale (modificato o meno che sia) a livello industriale. Coerentemente con la logica delle società del consumo, il biotecnologo DEVE rendere fruibile i vantaggi della conversione “naturale” alla più ampia platea di popolazione possibile.

L’inizio del presente millennio è stato marcato dalla consapevolezza che stiamo progressivamente esaurendo le risorse fossili (petrolio e carbone) e disperdendo nell’ambiente prodotti che si accumulano creando dissesti all’ecosistema, talvolta irreversibili.
Le biotecnologie rappresentano una soluzione da un lato al mantenimento del benessere energetico e dall’altro al risanamento ambientale. A questo si aggiunge che molti prodotti della vita quotidiana e del mondo industriale possono, e in molti casi lo sono già, essere prodotti da processi biotecnologici ecosostenibili.
Le biotecnologie industriali sono una delle strade tecnologiche che permettono non solo di produrre i carburanti necessari ad alimentare i sistemi di trasporto (autovetture, motoveicoli, mezzi di lavoro, aerei, treni a combustibile, …) ma anche di proporre soluzioni più ecosostenibili ossia sviluppare processi di produzione industriale più rispettosi dell'ambiente e degli addetti al ciclo produttivo. L’obiettivo è duplice: i) produrre carburanti che per quanto possibile sostituiscano quelli di origine fossile (gas naturale, benzina, gasolio, jet-fuel, …) e siano gestibili con i sistemi motoristici e le infrastrutture esistenti; ii) sviluppare processi produttivi a bassa emissione di sostanze inquinanti (solide, liquide e gassose), in grado di sfruttare risorse rinnovabili e di ridurre la richiesta di risorse naturali pregiate, quale acqua (in particolar modo l’acqua potabile) e terreni coltivabili.
Dopo un primo periodo di produzione di carburanti partendo da materie prime di origine alimentare (biocombustibili di prima generazione), da qualche anno le biotecnologie industriali sono diventate il motore dello sviluppo dei combustibili di seconda e di terza generazione. I biotecnologi hanno sviluppato vari processi, e ne stanno proponendo altri più economici e più ecosostenibili, per produrre (bio)combustibili per motori a combustione comandata (benzina) e per motori ad autoaccensione (diesel).
La quantità giornaliera di vettori energetici “bruciati” dalla società del consumo richiede che il biotecnologo affronti le sfide di scala dettate da processi industriali. Per far fronte alla domanda di carburanti sarà necessario realizzare impianti tanto vasti quanto le attuali raffinerie petrolifere.Il richiamo alle raffinerie petrolifere va oltre il semplice concetto di dimensione dell’insediamento industriale. Due ulteriori aspetti sono condivisi dalle due tipologie di industrie: i) la complessità dei processi biotecnologici impegnati nella produzione dei vettori energetici è confrontabile con quella delle raffinerie petrolifere; ii) un processo biotecnologico ottimizzato prevede lo sfruttamento di tutte le componenti della risorsa a disposizione, così come il petrolio è separato in vari tagli direttamente utilizzabili o da sottoporre ad ulteriori lavorazioni. In altre parole e a titolo di esempio, da una biomassa lignocellulosica (colture erbacee, scarti di potatura, etc.) è possibile ottenere biocarburanti e combustibile solido; dalle microalghe è possibile ottenere biodiesel, carboidrati, pigmenti colorati, etc.
Il risanamento dell’ambiente, come anche lo sviluppo e la messa a punto di processi produttivi ecosostenibili innovativi basati sulle biotecnologie, richiede una dettagliata conoscenza del mondo microbico per poter spingerli anche oltre i limiti imposti dalla natura (ad es. ambienti “aggressivi” per i sistemi naturali).
Esempi ben noti da decenni di impiego di sistemi microbici per il trattamento di sostanze inquinanti sono i depuratori a fanghi attivi che popolano i centri di trattamento di reflui industriali e/o civili. In questo caso si sfruttano i microrganismi selezionati naturalmente per trasformare le sostanze inquinanti in sostanze non inquinanti, acqua e anidride carbonica. Le biotecnologie si prefiggono di selezionare sistemi microbici in grado di convertire specifiche sostanze inquinanti, identificarne i punti di forza ed eventualmente esaltarli, e realizzare ambienti controllati che permettano ai sistemi selezionati di risanare l’ambiente.
Le biotecnologie concorrono altresì a ridurre e contenere il rilascio dell’anidride carbonica nell’atmosfera, responsabile del ben noto “effetto serra” tra i principali indiziati del surriscaldamento del pianeta. Le sfide raccolte riguardano sia la cattura e l’accumulo della CO2 in siti protetti (sequestro geologico) e sia l’uso della stessa CO2 come fonte carboniosa per produrre sostanze di interesse industriale (biocombustibili/biocarburanti, molecole di base per la produzione di bioplastiche, etc.). Basta considerare che